Il Green Deal europeo di fronte alla pandemia

La pandemia ha colpito al cuore l’Europa, ma non ha fermato il Green Deal. Anzi, la transizione verde è la chiave per ridare slancio all’economia.

“È come quando l’uomo è andato sulla Luna”. Questo il paragone scelto dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per annunciare ufficialmente l’avvio del Green Deal europeo, il piano di transizione volto ad azzerare l’impatto climatico dell’Unione entro il 2050. Era mercoledì 11 dicembre 2019. Nessuno poteva immaginare che proprio negli stessi giorni, nella città cinese di Wuhan, venissero ricoverati i primi pazienti affetti da una polmonite da causa sconosciuta. Né che quelli fossero i primi segnali di una pandemia che avrebbe scompaginato il corso degli eventi.

La pandemia colpisce al cuore l’economia europea

Con il virus ancora nel pieno delle sue forze e le case farmaceutiche impegnate in una corsa contro il tempo per finalizzare il vaccino, è ancora presto per tracciare un bilancio dell’impatto economico della Covid-19. Nel World economic outlook pubblicato a ottobre, il Fondo monetario internazionale (Fmi) prevede per il 2020 un crollo del pil europeo pari al 7 per cento, seguito da un rimbalzo del 4,7 per cento l’anno successivo. Un dato migliore rispetto al -8,5 per cento che era stato prospettato a giugno, soprattutto per via dell’allentamento delle misure di lockdown durante l’estate. Un dato che oltretutto avrebbe assunto dimensioni ancor più devastanti se l’Unione non fosse intervenuta con il fondo Next Generation Eu che il Fmi cita come esempio virtuoso a livello internazionale.

Resta il fatto, però, che la recessione a cui stiamo assistendo ha caratteristiche “uniche”. E, non solo per l’Europa ma per l’economia globale nel suo insieme, “la durata della crisi rimane incerta e legata a fattori che per natura sono difficili da prevedere, tra cui l’andamento della pandemia, i costi di aggiustamento che impone all’economia, l’efficacia delle politiche economiche adottate in risposta e l’evoluzione del sentiment dei mercati finanziari”.

Berlino in lockdown © Maja Hitij/Getty Images

Non possiamo accantonare l’azione per il clima

Di fronte a questo shock, non sono mancate le reazioni di chiusura. L’Unione europea dovrebbe “dimenticare il Green Deal almeno per il momento” e dirigere le proprie forze solo sulla lotta al virus, dichiarava alla stampa a marzo il primo ministro ceco Andrej Babiš. “Le nostre economie si ritroveranno indebolite. Le aziende non avranno fondi sufficienti per investire. E alcuni importanti progetti nel settore dell’energia saranno ritardati o sospesi – gli faceva eco pochi giorni dopo il ministero dell’Ambiente polacco, con una nota inviata all’agenzia Reuters –. Questi sono problemi reali che presto saremo chiamati ad affrontare. Di conseguenza, raggiungere i nostri obiettivi di lotta ai cambiamenti climatici diventerà difficile”.

È lo stesso Fondo monetario internazionale, però, a ribadire che “gli strumenti di politica economica possono tracciare la strada verso l’azzeramento delle emissioni nette entro il 2050, anche mentre il mondo cerca di riprendersi dalla crisi legata alla Covid-19”. E che “queste politiche possono essere perseguite in modo tale da supportare la crescita economica, l’occupazione e una maggiore equità nei redditi”.

La Commissione insiste sul Green Deal europeo

La Commissione europea sposa con convinzione questo approccio e ribadisce: il Green Deal è e resterà al centro dell’agenda. “Sarebbe stato semplice – e forse addirittura comprensibile – gettare la spugna, buttare le nostre ambizioni verdi fuori dalla finestra. Chi ha il tempo di pensare alle esigenze del Pianeta fra dieci anni, quando i suoi cari si sono ammalati o quando non sa nemmeno se avrà ancora un lavoro la settimana prossima? Le priorità delle persone sono cambiate”, ha affermato il vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo Frans Timmermans in occasione dei Bruegel annual meetings di settembre.

Frans Timmermans
Frans Timmermans interviene all’Onu a settembre 2019 © Michael Owens/Getty Images for Freuds

“All’aumentare dell’incertezza, aumenta anche la pressione sui governi per trovare rimedi in fretta. Eppure eccoci qui, non solo a mantenere le nostre ambizioni sul Green Deal, ma addirittura a raddoppiarle. Era la nostra strategia di crescita, ora è anche la nostra tabella di marcia per uscire dalla crisi, un’àncora di salvezza verso un futuro migliore”. Pochi giorni dopo, con il discorso sullo Stato dell’Unione, è arrivata una conferma molto concreta di questa volontà. Alla transizione verde verrà destinato direttamente il 37 per cento del fondo Next Generation Eu che, complessivamente, ammonta a 750 miliardi di euro.

150 miliardi di euro per non lasciare indietro nessuno

Credere nell’assoluta necessità di decarbonizzare le nostre economie non significa chiudere gli occhi di fronte alle complessità che ciò comporta. Il Fondo monetario internazionale, alla luce dell’emergenza sanitaria, le riassume con poche parole molto chiare. “Pur essendo probabile che la mitigazione (dei cambiamenti climatici, ndr) incrementi i redditi nel lungo termine limitando danni e gravi rischi materiali, la trasformazione economica che richiede potrebbe rallentare la crescita durante la transizione, specialmente in Paesi fortemente dipendenti dalle esportazioni di combustibili fossili e in quelli che vivono una rapida crescita economica e demografica”. Nella prima categoria rientrano proprio Polonia e Repubblica Ceca, così come la Bulgaria. Stati in cui la fonte più dannosa in assoluto, il carbone, ancora oggi è la colonna portante del mix energetico e del reddito di decine di migliaia di famiglie.

Fin dal principio, un capitolo rilevante del Green Deal europeo è stato dedicato proprio a quei territori che si trovano più indietro nella griglia di partenza per la transizione ecologica. Si chiama meccanismo per una transizione giusta e promette di mobilitare almeno 150 miliardi di euro per riconvertire le aziende, costruire infrastrutture, offrire opportunità di formazione e occupazione ai lavoratori e molto altro. In sintesi, per “non lasciare indietro nessuno”. Assicurando che lo sviluppo sostenibile vada a braccetto con l’inclusione sociale.

Come funziona il meccanismo per una transizione giusta

Questi finanziamenti saranno suddivisi su tre direttrici. La prima è il fondo per una transizione giusta che avrà una dotazione pari a 40 miliardi di euro: 10 saranno a carico del bilancio dell’Unione, mentre la quota restante arriverà dallo strumento europeo per la ripresa. Per ogni euro ricevuto dal bilancio dell’Unione, ogni Stato membro dovrà metterne a disposizione da 1,5 a 3 tra quelli che ha ricevuto da altri programmi europei (per la precisione, il Fondo europeo di sviluppo regionale e il Fondo social europeo Plus), oltre a una quota di cofinanziamento. Si crea così un effetto moltiplicatore che porta la capacità finanziaria complessiva del fondo a un totale compreso tra gli 89 e i 107 miliardi di euro.

Il secondo protagonista è InvestEU, il programma che mira a sostenere gli investimenti e l’accesso ai finanziamenti, fornendo loro una garanzia tramite il bilancio dell’Unione. Si snoda tra il 2021 e il 2027, con l’intento di mobilitare 650 miliardi di euro. Una quota dei suoi finanziamenti, pari a 1,8 miliardi di euro, sarà dedicata agli obiettivi della transizione giusta.

Infine entra in gioco la Banca europea per gli investimenti che, grazie a un’iniezione di 1,5 miliardi da parte del bilancio dell’Unione, erogherà prestiti agli enti pubblici per un totale di 10 miliardi. Anche in questo caso l’intento è quello di generare un effetto volano, creando condizioni favorevoli per altri 25-30 miliardi di euro di investimenti pubblici.

Chi vorrà beneficiare di queste opportunità troverà informazioni, risorse e aggiornamenti nella Piattaforma per una transizione giusta, uno sportello unico messo a disposizione dalla Commissione.

Un’occasione da non perdere per costruire un futuro sostenibile

In questo senso, spiega Frans Timmermans, il periodo che si staglia di fronte a noi è un’opportunità imperdibile. Per rimettere in piedi un’economia prostrata dall’emergenza sanitaria, l’Unione europea investirà complessivamente 1.800 miliardi di euro. Una somma senza precedenti. Perché mai dovremmo sprecarli per mantenere uno status quo che ha già mostrato tutti i propri limiti?

Nel suo accorato discorso Timmermans fa riferimento a un concetto molto caro agli economisti, quello di stranded assets (che in italiano potrebbe essere tradotto come “beni incagliati”). Costruire una centrale termoelettrica, per esempio, potrebbe erroneamente apparire come una scorciatoia per ridare slancio all’economia creando occupazione. Ma per l’entrata in vigore di nuove regolamentazioni ambientali e una diversa imposizione fiscale, oltre che per l’evoluzione tecnologica che rende sempre più convenienti le rinnovabili, ben presto quell’energia fossile sarà fuori mercato. E non varrà più nulla in termini monetari. Nel frattempo, però, avrà contribuito al riscaldamento globale, all’inquinamento, al degrado del territorio.

“Il denaro che usiamo adesso è preso in prestito dalle prossime generazioni”, conclude Timmermans. “Investirlo nel loro futuro, invece che nel nostro passato, è un imperativo morale e una questione di buon senso economico. Non abbiamo altra scelta”.

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