La proposta di togliere la scadenza all’autorizzazione delle sostanze attive dei pesticidi è contenuta in un pacchetto semplificazione della Commissione. Per gli ambientalisti in questo modo il profitto dell’industria prevale sulla salute.
La riscoperta dei frutti antichi significa tutela della biodiversità, oltre che dell’ambiente e della salute. E dal Piemonte alla Calabria, l’Italia è piena di varietà da riportare sulle tavole.
Soppiantati senza troppi convenevoli da varietà brevettate o di interesse commerciale e snobbati per decenni anche nei piccoli contesti locali, i frutti antichi stanno tornando ad essere protagonisti dell’agricoltura grazie al loro riconosciuto valore nella conservazione dell’agrobiodiversità e nello sviluppo di filiere sostenibili, nella sostenibilità ambientale, nel miglioramento della sicurezza alimentare e della salute delle popolazioni. Noto è, inoltre, che le informazioni genetiche contenute nelle antiche varietà colturali sono fondamentali per lo sviluppo di ceppi genetici in grado di crescere in luoghi aridi e in suoli inadatti.
I frutti antichi sono anche più resistenti alle malattie e all’attacco di parassiti, riducendo la necessità di utilizzare pesticidie fertilizzanti, e questo li rende attrattivi per chi cerca – e sono sempre più persone a farlo – cibi genuini e rispettosi dell’ambiente, oltre che stagionali e ricchi di proprietà, e a chilometro zero. Tale riscoperta, infatti, non può prescindere dalle produzioni locali e dalle caratteristiche dei diversi territori, dalla passione e dal lavoro dei piccoli produttori che a loro volta traggono vantaggio da queste coltivazioni. Ce lo raccontano alcuni degli agricoltori di Biorfarm, la prima comunità agricola digitale attraverso cui si può adottare un albero supportando i piccoli coltivatori e ricevere a casa prodotti biologici direttamente dall’agricoltore.
Nell’Azienda agricola Bargiolina sulle colline di Barge, nel cuneese, Roberto Fraire e sua figlia Elisabetta producono mele, susine, kiwi, ciliegie. “Sono cresciuto in un contesto agricolo negli anni in cui questo settore andava alla deriva, soprattutto nelle zone collinari”, racconta Roberto. “Come molti sono fuggito in città e mi sono dedicato alle professioni informatiche. Quando, a un certo punto, mi sono trovato a dover decidere cosa fare della piccola azienda agricola dei miei genitori, sono stato incoraggiato da amici a fare vendita diretta della frutta. Ho fatto un primo esperimento a Torino che ha avuto successo grazie anche all’idea di destinare una parte del ricavato a una onlus. Con il tempo mi sono focalizzato sulla coltivazione biologica e su prodotti di qualità, dato che non potevamo puntare sulla quantità”. Oggi la famiglia Fraire è l’unica a coltivare nella zona la mela renetta grigia di Torriana. Presidio Slow Food, è detta anche “mela ruggine” e la sua polpa è dolcissima.
Nei terreni dell’azienda si coltivano anche le mele crimson, dal colore rosso brillante, con una polpa croccante e succosa dal sapore dolce e aromatico, e le susine ramassin, tipiche del Piemonte Sud Occidentale, di piccole dimensioni e con una polpa morbida e dolce. Per Roberto coltivare varietà locali significa valorizzare il contesto contadino in cui è cresciuto e a cui è legato, ma anche prendersi cura dell’ambiente, recuperando terreni incolti e abbandonati. Farlo, inoltre, con metodo biologico ha un valore aggiunto: “Ricordo che il tormento di mio padre era il ragnetto rosso, un parassita che attaccava le piante perché l’uso di pesticidi neutralizzava i suoi antagonisti naturali. Oggi, grazie alle pratiche bio, non ho questi problemi”. Elisabetta, cresciuta in città ma anche lei affezionata alla “campagna dei nonni”, con in tasca una laurea in Tecnologie alimentari, si occupa del laboratorio di trasformazione dove con la frutta si producono succhi e confetture. “Le varietà antiche regalano grandi emozioni, dalle proprietà nutritive al gusto. Con il nostro lavoro cerchiamo di preservare il territorio, ma soprattutto di dargli nuova vita. E in futuro vogliamo sempre più raccontare, attraverso la formazione e la didattica – cosa voglia dire fare un prodotto di qualità”.
Dalle colline del Piemonte attraversiamo l’Italia fino alla Valle del Crati, un territorio soleggiato e fertile nel Nord della Calabria. Qui la famiglia Bufano si dedica alla coltivazione delle olive, che in questa parte della regione sono grandi e carnose (come la Carolea, che regala un olio dolce e delicato, la Nocellara e la Tondina), e del ficobianco dottato di Calabria, un frutto antico e autoctono, che l’azienda commercializza fresco, secco e trasformato in prodotti artigianali tipici calabresi: il miele di fichi, le crocette di fichi, le trecce di fichi e le coroncine. “Mio nonno Eugenio coltivava grano e olive”, racconta Genny che con la gemella Roberta si occupa della parte burocratica e digitale dell’azienda. “Mio padre Fernando ha introdotto i fichi e lo ha fatto, su consiglio di un agronomo, concentrandosi sulle varietà antiche il cui patrimonio genetico le rende più resistenti agli attacchi esterni come malattie e parassiti”.
Per Genny le varietà antiche non possono essere coltivate se non con il metodo biologico poiché entrambi concorrono alla tutela dell’ambiente e della salute. E in Calabria la famiglia Bufano non è l’unica a credere in questi frutti. L’Azienda agricola Ilaria Campisi di Caulonia (Rc) ha recuperato cultivar antiche del territorio che stavano scomparendo, come l’arancia bionda di Caulonia, valorizzando le loro peculiarità varietali, paesaggistiche, storiche ed ambientali; a Rossano (Cs), sulle colline pre-silane, gli olivicoltori Converso sin dal 1800 sono dediti all’olivicoltura producendo, tra tradizione e innovazione, l’olio extravergine d’oliva Dolce di Rossano da ulivi secolari del territorio.
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