
Da secoli, il frutto dell’ume viene coltivato a Minabe e Tanabe in armonia con i boschi cedui e gli insetti impollinatori: un metodo riconosciuto dalla Fao.
Il primo settore a essere danneggiato dai cambiamenti climatici è quello agricolo. Due coltivatori ci raccontano i danni subiti e i tentativi di contrastare il clima impazzito.
In Europa il 2020 è stato l’anno più caldo di sempre: a dirlo i dati di Copernicus, il servizio di monitoraggio satellitare della Terra dell’Unione europea. E lo stesso 2020, è anche l’anno più caldo a livello globale, alla pari con il 2016. In generale, la decade 2011-2020 è stata caratterizzata dalle temperature più alte mai registrate. In Italia, secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Isac Cnr relativi ai primi 11 mesi, il 2020 si classifica come il quinto più caldo dal 1800, con una temperatura di quasi un grado superiore alla media storica.
I cambiamenti climatici, conseguenti al riscaldamento globale, presentano una tendenza alla tropicalizzazione accompagnata, come sottolineato da Coldiretti, da una più elevata frequenza di eventi violenti, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense ed il rapido passaggio dal sole al maltempo, con sbalzi termici significativi. In particolare, lo scorso anno è stato segnato da una media di più di quattro tempeste al giorno tra grandinate, tornado, nevicate anomale, fulmini e bombe d’acqua che hanno provocato frane, esondazioni e danni nelle città e nelle campagne.
Come riferisce ancora Coldiretti, nell’ultimo decennio gli eventi climatici estremi sono costati all’agricoltura italiana oltre 14 miliardi di euro tra perdite della produzione agricola nazionale e danni alle strutture e alle infrastrutture nelle campagne. Quello agricolo è infatti il settore che più dipende dal meteo e gli agricoltori sono i primi ad accorgersi di come il clima stia cambiando.
Ce lo conferma Luca Golinelli, 38 anni, una laurea in storia e una carriera da informatico, che nel 2012 ha deciso di seguire le orme del nonno nei campi e di dare vita all’azienda agricola Podere Poluzza Nuova a Imola (Bo) aderendo a progetti come Biorfarm, la prima comunità agricola digitale attraverso cui si può adottare un albero supportando i piccoli coltivatori e ricevere a casa prodotti biologici direttamente dall’agricoltore.
Nei suoi cinque ettari di proprietà Luca coltiva con metodo biologico cachi Loto di Romagna e poi pesche, susine, melagrane, ciliegie e ortaggi, ma negli anni ha spesso dovuto fare i conti con eventi meteo avversi: “All’inizio della scorsa primavera una gelata ha distrutto tutta la produzione di frutta e metà del vigneto. Il problema è che non esiste più l’inverno: con l’innalzamento delle temperature le piante fioriscono precocemente, poi magari capitano due, tre giorni di freddo intenso che compromettono le coltivazioni”. Luca si è attrezzato con coperture antigrandine, cerca di diversificare le colture scegliendo le varietà più tardive, quelle più resistenti e quelle che richiedono meno acqua.
Anche Lorenzo Sacchetto, a capo dell’azienda agricola Giuliano Sacchetto di Lagnasco (Cn), racconta come ormai non passi anno senza eventi meteo turbolenti che compromettono le produzioni. Lorenzo, classe 1981, rappresenta la quarta generazione di frutticoltori della sua famiglia e coltiva pesche, nettarine, susine, kiwi, mele, pere e mais che distribuisce anche attraverso Biorfarm. “Quello con l’agricoltura – racconta – non è stato un colpo di fulmine, ma un innamoramento lento e forse per questo è una storia d’amore destinata a durare a lungo”. Trascorre molto tempo nei campi, ma per lui il bello di questo lavoro è esserci. Tante soddisfazioni dunque, ma anche tanto lavoro e poi il meteo che a volte rovina tutto.
Lo scorso agosto una violenta tromba d’aria ha sradicato tutto il meleto che contava circa 2mila piante per un danno di decine di migliaia di euro. Per questo Lorenzo si avvale di reti antigrandine che coprono l’80 per cento delle produzioni, di dispositivi antibrina sovra-chioma, di una centralina meteo per le previsioni del tempo e la rilevazione dei dati, oltre che di un impianto d’irrigazione centralizzato per la gestione dell’acqua. L’utilizzo della tecnologia unita alla riscoperta delle buone pratiche agricole è il suo tentativo di contrastare per quanto possibile i cambiamenti climatici. “Per esempio è utile preparare il terreno con la giusta pendenza per drenare l’acqua. Le stesse pratiche del metodo biologico, come le concimazioni organiche del terreno o l’estirpazione meccanica delle erbe senza utilizzo del diserbo chimico, contribuiscono a rafforzare le piante e a renderle più resistenti contro il clima. Sperimento anche coltivazioni di varietà antiche o di nuove varietà, in questo caso appoggiandomi a un centro di ricerca del territorio che prima ne testa la crescita nella zona”.
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