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Quali sono i benefici economici, oltre che climatici, della decarbonizzazione? Dà una risposta il Global turning point report 2022 di Deloitte.
La decarbonizzazione del sistema produttivo mondiale si stima farà crescere di 43mila miliardi di dollari l’economia globale tra il 2021 e il 2070. Sempre nell’arco dei prossimi cinquant’anni, l’inazione climatica – cioè l’assenza di politiche per la riduzione delle emissioni di CO2 e la conversione delle attività maggiormente inquinanti – potrebbe comportare perdite economiche pari a 178mila miliardi. La stima arriva dal recente Global turning point report 2022 di Deloitte, presentato al World economic forum di Davos. Alla luce di questi dati, la domanda è d’obbligo: continuare a investire sulle fonti fossili conviene davvero?
Se governi, istituzioni, imprese, società civile e singoli cittadini non collaboreranno all’attuazione di politiche di contrasto e mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici, tutti ne pagheremo – letteralmente – le conseguenze, ricorda il report. Una cifra elevatissima che comprende, tra gli altri, i costi legati a un numero crescente di disastri oltre alla perdita di raccolti e terreni provocata dall’innalzamento del livello dei mari, alla mancanza di produttività dovuta al caldo estremo e all’aumento delle malattie.
Rispetto a uno scenario non affetto dalle conseguenze del riscaldamento globale, la perdita media annua del pil ammonterebbe al 7,6 per cento. I dati non sarebbero ugualmente distribuiti all’interno delle diverse aree geografiche, stima Deolitte: l’economia dell’Asia-Pacifico subirà i danni maggiori, equivalenti a una perdita cumulativa di 96mila miliardi di dollari entro i prossimi 50 anni. Già nel 2050, l’aumento della temperatura globale di 2 gradi centigradi potrebbe ridurre il pil regionale di 3.400 miliardi di dollari, fino a 16mila miliardi nel 2070. Per fare un esempio concreto, quest’ultima perdita supererebbe il valore attuale dell’intera economia cinese. L’Europa, invece, rischia di perdere 10mila miliardi di dollari e 110 milioni di posti di lavoro entro il 2070 rispetto a un mondo a basse emissioni e senza danni al clima.
C’è un’altra strada. Per contenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5° C rispetto ai livelli preindustriali, come previsto dall’Accordo di Parigi sul clima, il rapporto individua quattro punti chiave per raggiungere nelle diverse aree geografiche i “turning point“, ossia il sorpasso dei benefici (sociali, ambientali ed economici) sui costi nel percorso globale di transizione ecologica. Questi, riprendendo quanto già contenuto nel Sixth Assessment Report del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc) e sono:
Alla base della rivoluzione sostenibile ci sono il cambiamento comportamentale e la creazione di una cultura dell’uso razionale dell’energia e delle risorse, riporta Deloitte. Come risultato, la sensibilizzazione verso il pianeta e ciò che ci offre favorirebbe la crescita degli investimenti responsabili in iniziative che possono dirsi davvero sostenibili.
Altrettanto indispensabile è l’adozione delle tecnologie innovative e a ridotto impatto ambientale, che non siano energivore o a elevato consumo idrico. Adozione che rappresenta certamente un costo per le imprese ma che, al contempo, promette un beneficio nel medio periodo, non solo per l’azienda. Non a caso, evidenzia Deloitte nel suo rapporto, i costi della decarbonizzazione saranno maggiori nelle fasi iniziali e dovranno sostenere la pressione sull’economia provocata dai continui disastri climatici, ma il valore ottenuto con il raggiungimento delle emissioni zero nette sarà di gran lunga maggiore.
A questo binomio si aggiunge il terzo elemento della ricetta sostenibile: la finanza sostenibile, a sostegno di iniziative davvero rispettose del pianeta, indispensabile per offrire nuove opportunità di crescita e sviluppo in aree considerate “secondarie” e sostenere un cambiamento duraturo e diffuso nel lungo termine.
L’economia è dalla parte di un futuro a basse emissioni. Se i governi, le industrie e i mercati finanziari continueranno a riallocare il capitale nella decarbonizzazione, il mondo potrà accelerare verso le emissioni nette zero e sbloccare le opportunità economiche che ne derivano.
Quando potrebbe avvenire la svolta economica? Ogni area dovrà seguire il proprio percorso per raggiungere l’obiettivo comune di emissioni nette zero. Un percorso legato alla specifica struttura economica e all’intensità di carbonio (indice che rispecchia l’efficienza di un sistema produttivo di beni e servizi), all’esposizione ai danni climatici, agli accordi istituzionali e ai propri punti di forza e capacità economiche.
Il rapporto di Deloitte indica che già in questo decennio l’Asia, l’area più inquinante al mondo e più esposta ai disastri climatici, potrebbe guadagnare di più e più rapidamente dalla decarbonizzazione globale (5,7 per cento di scostamento del pil nel 2070) rispetto all’Europa (1,8 per cento di scostamento del pil nel 2070). E successivamente, per motivi analoghi, gli Stati Uniti.
In ogni caso, per qualsiasi angolo del pianeta il momento di agire è adesso (forse meglio dire, era ieri) per evitare di abituarsi a una normalità “anormale”. Siamo di fronte a un’opportunità scoraggiante a tratti, ma entusiasmante per altri versi: ridisegnare il nostro sistema economico e favorire il benessere collettivo. Saremo all’altezza della sfida?
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