Editoriale

Per ricostruire l’Iraq bisogna ripartire dall’acqua. La storia del water defender Salman Khairalla

Salman Khairalla è un attivista iracheno che lotta dal 2007 per preservare le paludi del suo paese, una risorsa idrica fondamentale.

a cura di Christian Elia

“Per gli iracheni, i due grandi fiumi sono come il sistema circolatorio: sono tutta la nostra vita e tutto dipende da loro. Essere davanti al Tigri e all’Eufrate, respirare, ti mette in connessione con tutto un popolo, dal sud al nord dell’Iraq; ti mette in connessione con la nostra storia. Davanti ai nostri due fiumi, ciascuno con la sua diversità, diventiamo un popolo. Per ricostruire l’Iraq, ma anche la regione, dobbiamo ripartire dell’acqua. Lungo le sponde del Tigri e dell’Eufrate è nata la civilizzazione umana: è tempo di ricominciare a costruire una nuova civilizzazione ripartendo dai fiumi”.

water defender in iraq
Lungo le sponde del Tigri e dell’Eufrate è nata la civilizzazione umana, per Salman Khairalla e gli altri attivisti è tempo di ricominciare a costruire una nuova civilizzazione ripartendo proprio dai fiumi © Salman Khairalla

Il percorso di Salman Khairalla

Salman Khairalla ha 29 anni e gli occhiali colorati. Sorriso contagioso, energia infinita, non sta fermo un momento. Iracheno, laureato in Scienze Ambientali all’università di Kufa, padre di una bimba, appartiene a quella generazione che è dovuta crescere in fretta. Il conflitto iniziato nel 2003 con l’invasione della coalizione internazionale guidata dagli Usa ha segnato per sempre le loro vite. E continua a farlo. Ma Salman è uno di quei figli dell’Iraq che vuole superare le divisioni settarie e confessionali che hanno devastato il Paese. Impegnandosi in prima persona.

Salman Khairalla water defender
Salman fin da giovanissimo si impegna per contribuire alla ricostruzione del suo paese, segnato dall’invasione della coalizione internazionale nel 2003 © Salman Khairalla

“In Iraq tutte le città sono costruite lungo i fiumi o sono attraversate dai fiumi. Personalmente, dal 2009, ho iniziato a battermi per la salvaguardia del Tigri e dell’Eufrate – racconta Salman – È come se fossero due membri della mia famiglia: quello che sono mi viene raccontato da loro, dalla storia che portano, dalla vita che generano. A volte ci parlo, con il Tigri, e sono convinto che mi ascolti”.

Una generazione di giovanissimi

Salman, assieme a tanti altri ragazzi e ragazze della sua generazione, stanchi di guerra e divisioni, si sono impegnati fin da giovanissimi per cambiare le cose. “Ho iniziato nel 2007, andavo ancora al liceo, facendo il volontario con una ong internazionale. La mia famiglia, come tante altre, era dovuta andar via da casa a causa degli scontri interconfessionali. Per permettere a me di continuare gli studi, la mia famiglia si è trasferita a casa di uno zio. Lui lavorava per questa ong e così ho voluto iniziare a rendermi utile. Con loro, nel 2009, ho visitato le paludi, ho conosciuto le famiglie che ci vivevano e i loro problemi. Da quel momento è diventato chiaro cosa volevo fare, sapevo quale sarebbe stato il mio contributo alla ricostruzione del mio Paese”.

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Salman Khairalla ha 29 anni e gli occhiali colorati. Sorriso contagioso, energia infinita. Iracheno, padre di una bimba, appartiene a quella generazione che è dovuta crescere in fretta © Salman Khairalla

Le paludi dell’Iraq, un paradiso della biodiversità da salvaguardare

Salman si riferisce ai cosiddetti Marsh Arabs, gli ‘arabi delle paludi’, come viene chiamata la popolazione maʿdān, che abita da sempre le zone paludose del delta del sistema fluviale Tigri-Eufrate nell’area sudorientale dell’Iraq e ai confini con l’Iran. Gli abitanti usano piroghe di legno con motori fuoribordo per navigare nei corsi d’acqua che si estendono da un orizzonte all’altro e il loro stile di vita e la distanza dalle città irachene li hanno tenuti ai margini della società, legati all’allevamento dei bufali e alla pesca. Le paludi, per secoli, sono stati un paradiso della biodiversità.

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La popolazione degli “arabi delle paludi” vive da sempre tra i corsi d’acqua delle paludi. ll loro stile di vita e la distanza dalle città irachene li hanno tenuti ai margini della società, legandoli all’allevamento dei bufali e alla pesca © AFP

“Conobbi una giovane coppia, con due bambini, li vidi piangere. In quel periodo le paludi erano in condizioni gravi per la scarsità d’acqua dovuta all’eccessivo sfruttamento per l’agricoltura e il loro unico bufalo era malato per la contaminazione delle acque – racconta Salman – Tutta la loro vita dipendeva da quello. In quella famiglia c’era tutta la nostra storia: la mia, costretto a lasciare la mia casa per la guerra, e quella del mio Paese, che non riusciva più a sfamare i suoi figli, lacerato da divisioni politiche e religiose che non servivano a nulla. Proteggerli, aiutarli a non dover lasciare la terra dove vivevano da generazioni, per me, è diventata una priorità”.

La scarsità della quantità di acqua delle paludi ha tra le cause uno sfruttamento eccessivo di risorse idriche per l’agricoltura, oltre che il cambiamento climatico © Agatha Skowronek

Le paludi, devastate prima dal conflitto militare tra Iran e Iraq negli anni ’80, poi dalla vendetta del regime di Saddam Hussein, che accusava i popoli delle paludi di collaborazionismo con il nemico, e poi dal primo conflitto internazionale del 1991, fino a quello del 2003, oltre che minacciate dal cambiamento climatico, sono scese ai minimi storici: 1,30 metri di profondità attuale rappresentano meno di un terzo delle condizioni pre-1980, nonostante alcuni tentativi di bonifica dopo il 2003.

2012: nasce Save the Tigris and Iraqi Marshes campaign

Salman, con un gruppo di amici che cresceva giorno dopo giorno, ha dato vita nel 2012 alla Save the Tigris and Iraqi Marshes campaign, parte dell’Iraqi social forum (grazie anche al grande lavoro di sostegno garantito alla società civile irachena dall’ong italiana UnPontePer) del quale Salman è membro e rappresentante, che ha portato, con un gran lavoro di sensibilizzazione e denuncia, al riconoscimento nel 2016 delle paludi come patrimonio Unesco. Una vittoria enorme per Salman e gli altri che non vogliono più fermarsi.

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L’enorme lavoro di sensibilizzazione e denuncia della situazione dei fiumi in Iraq ha portato un grande risultato: le paludi riconosciute patrimonio dell’Unesco nel 2016 © Iraqi Civil Society

Nel 2019 è nato il Mesopotamian water forum, che ha organizzato il suo primo incontro a Suleymaniah, nel Kurdistan iracheno, lo scorso anno. “Quest’anno avremmo dovuto vederci a Dyarbakyr, in Turchia, ma la pandemia non ha reso possibile l’evento, ma l’assemblea annuale si è tenuta online. La nostra agenda, come forum, è basata su tre livelli: la lotta alle grandi dighe, che devastano le comunità locali e che diventano strumenti di tensione politica tra i paesi confinanti, la lotta all’inquinamento, prodotta dall’agricoltura non sostenibile e dallo sfruttamento delle risorse, la responsabilizzazione sociale dei cittadini e la condivisione delle pratiche degli attivisti nei nostri paesi. Ci dividono delle frontiere, ci uniscono le lotte, e assieme siam più forti”.

È facile immaginare quanto possa essere difficile l’attività di Salman e degli altri attivisti in paesi complessi come l’Iraq, l’Iran, la Siria e la Turchia, connettendo tra loro anche attivisti in Libano e Giordania con organizzazioni e movimenti internazionali. 

Il diritto di avere acqua sicura e pulita

La sensibilizzazione per la problematica idrica in Iraq parte dall’informare i cittadini sul loro diritto ad avere acqua sicura, sufficiente, pulita. Lottiamo per informare i cittadini sul loro diritto ad avere acqua sicura, sufficiente e pulita © Save the Tigris Campaign

“Oggi, dopo molto lavoro, abbiamo costruito un buon network, all’estero e in Iraq. In particolare nel mio Paese. Ci sono gruppi locali che lavorano in ogni città lungo i nostri fiumi, dal nord al sud, sunniti, sciiti e curdi, uniti dall’idea di salvare i nostri fiumi dalle dighe e dall’inquinamento. Con loro lavoriamo con le comunità locali – spiega Salman – prima di tutto sulla consapevolezza, per un utilizzo responsabile delle risorse idriche: svolgiamo un lavoro di ricerca per monitorare lo stato delle acque e le problematiche delle comunità che vivono grazie ai fiumi, con un’attenzione particolare per l’inquinamento. Infine la formazione: prepariamo tecnici, grazie ad amici che vengono anche dall’estero, per condividere con noi e i cittadini le loro competenze. Prepariamo le persone alla raccolta differenziata e alla tutela dell’ambiente. Lottiamo per informare i cittadini sul loro diritto ad avere acqua sicura, sufficiente, pulita. Lottiamo per tenere vive le tradizioni millenarie legate alle comunità tradizionali. Partendo dalle risorse condivise, possiamo ricostruire una cittadinanza irachena che non sarà più legata alla confessione religiosa o altro.”

Quanto è stata dura, si può immaginare. “All’inizio solo mio padre stava a sentirmi”, racconta ridendo di gusto Salman. “Oggi mi contattano, mi cercano, mi intervistano. E pian piano ci ascoltano. La pandemia è stata un disastro per chi come noi lavora casa per casa e sul territorio, ma non ci siamo fermati e andiamo avanti per cambiare la cultura dell’ambiente e dei diritti in questi paesi.Con la crisi sanitaria e il crollo del prezzo del petrolio, con le casse vuote dello Stato, ci stiamo battendo per sussidi agli agricoltori, ai pescatori. C’è una situazione molto dura per queste famiglie”.

L’ostacolo del governo

Salman, con altri membri del gruppo, era in piazza come tanti altri cittadini alla fine del 2019. In Iraq, a Baghdad e altrove, per mesi, centinaia di migliaia di persone sono scese in piazze per chiedere un cambiamento reale. Basta corruzione, basta lotte fratricide; lavoro e dignità, sicurezza sociale e civile per una generazione che è stanca di guerra. La reazione del governo è stata feroce. Morti, feriti e arresti arbitrari. Anche Salman, di notte, è stato prelevato da casa. Per giorni non si sono avute notizie di lui. Per fortuna, grazie anche a un’immediata campagna internazionale, è stato rilasciato. Salman racconta dei sogni di una generazione, preferendo non parlare della sua esperienza, perché si ritiene fortunato a esserne uscito indenne al contrario di tanti altri.

Campo profughi
Gli attivisti non si fermano nonostante le difficoltà. Vanno avanti per cambiare la cultura dell’ambiente e dei diritti dei loro paesi © Arianna Pagani

Un futuro per i giovani

“Quello che è iniziato a ottobre 2019 è un movimento senza precedenti nel passato recente dell’Iraq. Un movimento di giovani, organizzati sui social media, che chiedono servizi, lavoro, diritti, sviluppo sostenibile. E lo fanno come cittadini, non come membri delle rispettive comunità settaria. Siamo in un paese ricco d’acqua e paghiamo una cifra enorme per l’acqua. Non è possibile vivere così, con le milizie e il potere militare, economico e politico legato a interessi che non sono quelli della popolazione civile – conclude Salman – siamo stanchi di aspettare un futuro, vogliamo prenderlo nelle nostre mani. Appena potremo, Covid permettendo, torneremo in piazza. Non ci fermeremo fino a quando la politica non tornerà a occuparsi dei cittadini e delle risorse che sono la nostra stessa vita”.

 


Water Defenders è un progetto di Water Grabbing Observatory per il decimo anniversario del riconoscimento del diritto umano all’acqua. Una serie di interviste da tutto il mondo racconteranno battaglie civili dal basso in difesa dell’acqua. Una lotta intesa sotto tutti i punti di vista, contro l’accaparramento delle risorse e contro le grandi e piccole opere che impattano sulle comunità e sul patrimonio naturale. Una galleria di persone comuni, uomini e donne, che in tutto il mondo difendono un diritto fondamentale. A partire dal 22 marzo, Giornata mondiale dell’acqua, ogni mese Water Grabbing Observatory racconterà su LifeGate la storia di un personaggio che si è speso per tutelare la risorsa più preziosa che abbiamo. Per ribadire il valore del diritto all’acqua.

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