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Un video girato dalla Cnn in Cina mostra dei cuccioli di elefante rinchiusi in piccole gabbie. A condannarli a questo amaro destino è stato il loro paese, lo Zimbabwe, che li ha venduti “per proteggere la specie”.
Elefantini che trotterellano nervosamente in piccole gabbie. Cuccioli che premono le loro teste sui muri. Barriti continui. È ciò che si vede in un video diffuso a fine novembre dalla Cnn, emittente televisiva statunitense, che testimonia l’enorme stress a cui deve fare fronte un gruppo di giovani elefanti provenienti dal parco nazionale di Hwange in Zimbabwe dopo essere stati strappati alle loro madri e trasferiti in Cina.
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Il parco nazionale di Hwange è uno dei posti migliori dello Zimbabwe dove osservare gli elefanti nei loro habitat naturali. Però in pochi sanno che è anche il luogo preferito dal paese dove catturare i propri pachidermi che in un secondo momento vengono venduti.
Chrispen Chikadaya, della Zimbabwe national society for the prevention of cruelty to animals (Znspca), una ong che tutela gli animali nello stato africano, ha affermato ai microfoni della Cnn che “è da almeno un anno che circolano voci sulle attività svolte nel parco. Sembra che alcuni degli impiegati catturino gli elefanti più giovani e li separino dal resto del gruppo per venderli ad altri paesi”.
In realtà, però, la situazione è addirittura peggiore di quanto si pensasse perché non si tratta di una teoria. Stando alle autorità dello Zimbabwe è una pratica decennale.
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“Sembra di stare in una telenovela: le persone si comportano come se li maltrattassimo, ma in realtà ci prendiamo cura di loro – ha commentato seccato Tinashe Farawo, un portavoce del parco, quando la notizia è diventata virale –. Abbiamo trasferito animali anche negli Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda e Regno Unito. Non è una cosa nuova per il nostro paese”.
E sfortunatamente ha ragione: dal 2012 al 2018, lo Zimbabwe ha venduto quasi cento elefanti alla Cina e a Dubai guadagnando circa tre milioni di dollari. Lo stesso Farawo ha in passato dichiarato che con il denaro guadagnato avrebbero implementato i piani di tutela dei pachidermi e che così “gli elefanti avrebbero pagato per la loro protezione”.
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Di quale protezione parli non si sa perché ciò che succede agli animali una volta dopo essere stati venduti non è chiaro. Secondo le autorità finiscono legalmente in zoo, circhi e santuari, che in ogni caso non sono esattamente luoghi che possono soddisfare i loro bisogno etologici. La Znspca ha denunciato come i dettagli delle operazioni siano stati volutamente oscurati. “Abbiamo bisogno di più trasparenza – ha affermato Chikadaya –. Dobbiamo sapere dove vengono ricollocati e quali siano i benefici per la loro conservazione”.
A fine novembre, quando la Cnn ha girato i video che hanno esposto questa situazione, la pratica era ancora legale, ma oggi non è più così. Dal 26 novembre è entrata in vigore una risoluzione del Cites, la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione, che ha imposto un divieto alla cattura e vendita di animali selvatici destinati ai mercati esteri.
Tuttavia gli esperti hanno paura che questo traffico si trasferisca nel mercato nero essendo troppo lucroso per rinunciarci. Del resto lo stesso Zimbabwe non sembrerebbe disposto a cambiare le proprie politiche e finché ci saranno paesi come la Cina disposti a pagare, è lecito temere che questi scambi continueranno, magari mascherati sotto le spoglie del benessere animale.
Infatti a giugno di quest’anno, il presidente dello Zimbabwe Emmerson Mnangagwa ha dichiarato che il paese è disposto a “vendere alcuni dei suoi animali selvatici anche a paesi che stanno cercando di reintrodurli”, come ad esempio l’Angola che vuole ripopolare i suoi territori.
Secondo quanto affermato dalla già ministra del Turismo e dell’Ambiente zimbabwiana Priscah Mupfumira al giornale Chronicle, ci sono troppi elefanti nel paese a causa, o sarebbe meglio dire “grazie”, alle politiche di tutela e conservazione delle specie protette e ad accordi come il Cites che ne hanno vietato il bracconaggio. Il numero degli elefanti nel paese è infatti aumentato e l’amministrazione sembrerebbe non essere più in grado di gestirli. “È assurdo che paesi che non ospitano questa specie decidano come dobbiamo occuparcene” ha dichiarato.
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E questa affermazione getta luce su un altro aspetto della vicenda: il paese sta cercando di sollevare il divieto al commercio di avorio per poter vendere quello che ha sequestrato durante varie operazioni antibracconaggio, che ora ammonta ad una quantità tale da valere quasi 300 milioni di dollari.
È chiaro che tutto quel denaro faccia gola e che ancora una volta non siano gli interessi degli animali ad essere messi al primo posto.
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