Parità di genere, l’Italia fa un passo indietro a causa del lockdown

A pagare il prezzo della pandemia sono soprattutto le donne: lo sostiene Asvis, che fa il punto sul cammino dell’Italia verso lo sviluppo sostenibile.

Le misure di lockdown adottate negli scorsi mesi per contenere la pandemia da coronavirus hanno messo a dura prova la società e l’economia. Ci vorranno mesi, forse anni, per maturare una visione d’insieme delle conseguenze. Quel che appare evidente già oggi è che una quota importante del peso è ricaduta sulle spalle delle donne. L’ultima edizione del rapporto L’Italia e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile”, con cui l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis) fa il punto sul percorso verso l’Agenda 2030 dell’Onu, è categorico: sulla parità di genere, il nostro Paese ha perso terreno.

Lavoro, il tallone d’Achille della parità di genere in Italia

La parità di genere, il quinto dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdgs), è un tema composito, che va analizzato prendendo in considerazione diversi indicatori. Su alcuni, come la rappresentanza femminile in Parlamento e nei consigli di amministrazione delle società quotate in Borsa, l’Italia ha conquistato notevoli progressi negli ultimi anni. Il nostro paese invece si mostra molto più debole sul fronte della partecipazione attiva delle donne al mercato del lavoro.

Già nel 2018 la differenza occupazionale di genere (cioè la differenza tra la percentuale di uomini e quella di donne che hanno un impiego) era pari a 19,8 punti percentuali, quasi il doppio rispetto alla media europea dell’11,6 per cento. Stando ai dati Istat, nel secondo trimestre 2020 il tasso di occupazione femminile è sceso di 2,2 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2019. Il periodo corrisponde alla fase di confinamento, e quindi alla paralisi di innumerevoli attività economiche. Ma le donne l’hanno subìta in modo più netto, considerato che per gli uomini il calo è di 1,6 punti percentuali.

Con le scuole chiuse, la cura della famiglia ricade sulle donne

A complicare la situazione è arrivata la chiusura delle scuole, con tutte le criticità connesse alla didattica a distanza. Ancora oggi infatti “l’Italia è caratterizzata sia da un divario salariale tra uomini e donne storicamente alto, sia da ruoli di genere conservatori che scaricano sulle donne la maggior parte delle incombenze legate alla casa e ai figli”, si legge nella ricerca Women’s work, housework and childcare, before and during Covid-19, redatta da un team di docenti dell’università di Torino e dell’università Bocconi di Milano.

Condivide questa visione anche il rapporto Asvis, che passa in rassegna (sempre sotto la lente degli Sdgs) i provvedimenti legislativi sul tema che sono entrati in vigore nell’ultimo anno. È vero infatti che il decreto Cura Italia ha introdotto il congedo straordinario per i lavoratori dipendenti con figli under 12 o, come alternativa, il voucher baby sitter; benefit che sono stati poi prorogati ed estesi con il decreto Rilancio. È vero anche, però, che “l’obiettivo di favorire la genitorialità condivisa attraverso il lavoro agile necessita di strategie più incisive”.

ValoreD, un’associazione di duecento imprese impegnate per la parità di genere, ha intervistato 1.300 lavoratori (quasi tutti in smart working) per l’indagine #iolavorodacasa. Una donna su tre dichiara di lavorare più di prima e di non riuscire a mantenere un equilibrio tra vita professionale e vita domestica, o di riuscirci solo con estrema fatica. Tra gli uomini, invece, il rapporto è di uno a cinque.

Smart working
Molte imprese hanno deciso di adottare la soluzione dello smart working per i loro dipendenti © Austin Distel / Unsplash

Tra i nuovi poveri, le donne sono la maggioranza

Quando viene improvvisamente a mancare una fonte di reddito, per certe fasce di popolazione scatta immediatamente l’allarme povertà. In questo senso i dati di Asvis si incrociano con quelli di Caritas e ActionAid, che sono stati entrambi diffusi in corrispondenza del 17 ottobre, Giornata mondiale per la lotta contro la povertà.

Tra marzo e maggio del 2020 le Caritas diocesane hanno assistito circa 450mila persone, il 12,7 per cento in più rispetto all’anno precedente. Il 45 per cento non aveva mai dovuto chiedere aiuto in precedenza, una percentuale ben più alta rispetto al 31 per cento del 2019. I “nuovi poveri” sono soprattutto donne (54,4 per cento; solo l’anno prima erano il 50,5 per cento), italiani (che fino all’anno scorso erano in minoranza) e con figli a carico (75,4 per cento). Per il 22,7 per cento si tratta di giovani tra i 18 e i 34 anni, nel pieno dell’età lavorativa. ActionAid conferma che minori e donne sono particolarmente esposti alla povertà alimentare, intesa sia in quantità (quando si è costretti a rinunciare a un pasto) sia in qualità (quando l’apporto di frutta, verdura e proteine non è compatibile con una dieta sana ed equilibrata).

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