Una ricercatrice analizza in un articolo come scegliere i vegetali al posto della carne riduca maggiormente l’impatto ambientale della dieta, indipendentemente dalla provenienza.
Se siamo fatti di terra, dobbiamo rispettare le sue regole, oggi più che mai
Agroecologia ed educazione sono tra gli ingredienti per uscire da questa pandemia più forti di prima. Siamo fatti di terra propone soluzioni.
Questa pandemia ha cambiato molte cose. Forse troppe. Ci ha costretto ad abbandonare il nostro stile di vita, sia quello che avremmo dovuto cambiare anni or sono – come la relazione che abbiamo con il Pianeta e le sue risorse naturali – che quello che non avremmo voluto cambiasse mai – come le relazioni con le persone a noi care.
Ci ha fatto cambiare abitudini nella vita di tutti i giorni, come il nostro approccio alla scuola, al lavoro e al tempo libero. Ci ha fatto persino cambiare il concetto che avevamo di “casa”. Un luogo tornato nuovamente “da vivere” e non più, come per alcuni, solo “di passaggio”.
Lo scorso anno avevamo cominciato – LifeGate insieme ad Alce Nero, l’impresa partecipata costituita da agricoltori biologici e trasformatori – un percorso informativo che ci ha portato in giro per l’Italia per parlare di sostenibilità.
Siamo fatti di terra continua
Seppur con modi e tempi diversi, aveva come obiettivo proprio quello di sensibilizzare per migliorare il rapporto che l’essere umano ha con la Terra che lo ospita e con le risorse alimentari e naturali che mette a disposizione ogni anno. Questo percorso, dal titolo Siamo fatti di terra, cerca di far riflettere su un fatto semplice: ciò che fa bene all’ambiente e al pianeta, fa bene alle persone. Perché nessun cibo, nessun prodotto agricolo, può nutrire un organismo in modo sano se proviene da un modello malato che sfrutta terre, risorse e lavoratori.
Questa pandemia ci ha confermato, una volta di più, che questa direzione fosse quella giusta. Del resto, il virus che ha dato vita a questa emergenza sanitaria globale è frutto proprio del modo sbagliato con cui ci siamo relazionati con la natura. Per questo abbiamo scelto di continuare questo percorso in una forma nuova, ma ripartendo dai protagonisti che un anno fa ci avevano aiutato a capire che direzione prendere.
L’agroecologia in pandemia
Quando al professor Giovanni Dinelli del dipartimento di Scienze e tecnologie agroalimentari dell’Università di Bologna abbiamo chiesto che ruolo assume l’agroecologia oggi, ci ha risposto che “la pandemia di Covid-19 ha messo in evidenza come i nostri sistemi produttivi siano fragili, e come tutta la nostra economia abbia una capacità di resilienza prossima allo zero. Con la pandemia abbiamo sperimentato sulla nostra pelle come un battito d’ali di farfalla in Cina, possa scatenare un urgano in America o in Europa”.
Per questo, per prima cosa bisogna tornare a osservare, ha affermato Dinelli, “l’osservazione è il primo principio dell’agroecologia. Abbiamo disimparato a farlo: l’agricoltura industriale funziona per ‘ricette’ che abbiamo applicato senza porci domande. Ora cominciamo a renderci conto di quanti effetti collaterali, avversi, ha generato questo approccio nei nostri agroecosistemi. Osservare e poi scegliere il meglio per la Terra, significa anche cominciare a guarire noi stessi. Questo nuovo modo ci toglie la terribile presunzione che i sistemi viventi possano sopportare qualunque insulto noi decidiamo di “infliggergli”.
GreatLife è educazione
Il nostro processo di guarigione comincia da qui. Dal riscoprire, dall’insegnare vecchie e nuove tecniche. Come fa GreatLife, il progetto europeo di cui l’Università di Bologna è capofila, che ha come obiettivo la sperimentazione di colture resilienti per ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici contribuendo a sostenere il reddito dei coltivatori e a dar vita a prodotti di qualità per il mercato finale.
“Per fare un bilancio – continua Dinelli parlando di GreatLife – dovremo aspettare che il tempo faccia la sua parte: un anno è un lasso molto breve per capire se il nostro progetto sia riuscito ad adempiere alla sua finalità educativa”. E conclude citando lo statista Nelson Mandela: “‘L’educazione è l’arma più potente che si possa usare per cambiare il mondo’, diceva. Io lo credo fermamente. Ma credo con ancora più forza in quanto affermato dal giornalista americano Sydney J. Harris: ‘Lo scopo della educazione è quello di trasformare gli specchi in finestre’. Spero che GreatLife possa contribuire in maniera significativa a generare tante finestre”.
Il virus della terra: i pesticidi
La visione di Dinelli sull’agroecologia non è tanto diversa da quella espressa da Manlio Masucci dell’organizzazione Navdanya International, l’organizzazione fondata dall’attivista e scienziata indiana Vandana Shiva per la difesa della biodiversità e del diritto a un’alimentazione sana e libera dai veleni: “L’agroecologia può offrire soluzioni ad alcuni aspetti fondamentali legati alla pandemia. La prima che mi viene in mente è relativa al nostro sistema immunitario. Quando parliamo di cibo spazzatura parliamo di cibo con pochi nutrienti e con molte sostanze dannose al nostro organismo. Quando parliamo di pesticidi parliamo di prodotti immunodepressivi, non solo di probabili cancerogeni e interferenti endocrini”.
E non si può parlare di pesticidi senza ascoltare le parole di una persona che è tra le eccellenze della ricerca italiana nel mondo. Parliamo della dottoressa Fiorella Belpoggi, alla guida del Centro di ricerca sul cancro “Cesare Maltoni” che fa capo all’Istituto Ramazzini di Bologna, a cui abbiamo chiesto gli ultimi sviluppi sulla pericolosità e sulla messa al bando del glifosato, uno degli erbicidi più utilizzati al mondo: “Il glifosato ha diversi effetti avversi sulla salute. Questi effetti avversi, già pubblicati in dozzine di studi in riviste autorevoli peer reviewed, riguardano non solo gli effetti cancerogeni evidenziati dalla Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) che fa capo all’Organizzazione mondiale della sanità, ma soprattutto gli effetti di interferenza endocrina sull’assetto ormonale dei nascituri e dei neonati che lo possono assumere attraverso la madre durante la gestazione o attraverso il latte materno alla nascita”.
Belpoggi e il team di esperti del Ramazzini stanno lavorando alacremente per arrivare pronti al 2022, quando l’Europa dovrà decidere sul rinnovo dell’autorizzazione dell’erbicida: “Come avevamo annunciato, nel 2019 l’Istituto Ramazzini ha iniziato un esperimento su larga scala per studiare sia gli effetti avversi del glifosato e di due dei suoi formulati – quelli attualmente più usati n Europa e negli Stati Uniti – sul sistema endocrino, influenzando la riproduzione e lo sviluppo, che in parallelo uno studio sulla cancerogenicità, utilizzando basse dosi che vengono considerate senza effetti. Lo studio sulla riproduzione e lo sviluppo è in fase di elaborazione, lo studio sulla cancerogenesi vedrà conclusa la parte ‘in vivo’ il prossimo anno e per il 2022 contiamo di avere a disposizioni almeno i dati preliminari – continua Belpoggi –, così da poterli fornire alla Commissione europea perché la nuova autorizzazione possa essere basata anche sui nostri dati indipendenti. Dai risultati potrà eventualmente dipendere il bando nel caso venissero evidenziati effetti cancerogeni”.
Aiutiamoci, sostenendo la ricerca
Una sfida resa ancora più ardua dalla situazione attuale, visto che l’indipendenza degli studi è basata per la maggior parte sulle donazioni di semplici cittadini. “Raggiungere questo obiettivo è una sfida enorme, soprattutto perché i soldi necessari per finanziare l’intero studio vengono raccolti con grande impegno, ma anche con grande fatica, attraverso attività di crowdfunding (per chi volesse si può donare anche online, ndr). Il lockdown ci ha impedito di organizzare tutti gli eventi ludici e scientifici sui quali si basa gran parte della copertura del nostro bilancio”.
Per tutti questi motivi e anche per far fronte a un’emergenza climatica, oltre che sanitaria, è fondamentale cambiare radicalmente forma di sviluppo, tagliare gli incentivi economici che i governi garantiscono ancora oggi a fonti fossili e all’agricoltura convenzionale, che proprio sulle fossili ha fatto la sua fortuna. “Al momento non intravedo una reale volontà politica di cambiare le cose – afferma Masucci – e questo nonostante gli input dell’Unione europea (si veda green deal e progetti quali Farm to fork e Biodiversità 2030, ndr). Al contrario si assiste a tentativi maldestri da parte di alcuni politici di riabilitare erbicidi come il glifosato. La legge sull’agricoltura biologica è ferma al Senato da quasi due anni. Questi sono segnali negativi che ci fanno comprendere come ci siano ancora forti interessi di parte che spingono per difendere lo status quo”.
Verso un mondo fatto di biodistretti perché Siamo fatti di terra
Ma le buone notizie non mancano perché, come l’organizzazione Navdanya International testimonia, sono sempre di più i territori che si mobilitano per un cambiamento dal basso a fronte di questa situazione di stallo a livello legislativo e istituzionale: “Il prossimo passo è la creazione di biodistretti (aree vocate al biologico dove produttori, cittadini, operatori turistici e pubbliche amministrazioni stringono accordi per la gestione sostenibile delle risorse. In Italia se ne contano più di trenta, ndr). Il trend è in crescita e stiamo osservando quanto i cambiamenti a livello locale possano determinare cambiamenti anche a livello regionale e nazionale”.
Queste parole denotano passione, convinzione. Ecco perché Siamo fatti di terra continua con più determinazione che mai. Se è compito degli scienziati “tradurre e mettere a disposizione di tutti le informazioni”, come evidenziato dalla dottoressa Belpoggi, è altrettanto vero che è fondamentale far sì che queste stesse informazioni raggiungano il numero più ampio di cittadini.
Nel nostro percorso incontreremo esperti di alimentazione e biodiversità, protagonisti del mondo dell’arte e della cultura per cercare di capire non solo come sarà o cosa significa “nuova normalità”, ma per portare esempi di cambiamento. Le soluzioni non mancano, ma bisogna impegnarsi affinché l’essere umano possa continuare a vivere in armonia con le altre forme di vita. Perché se siamo fatti di terra, dobbiamo rispettare le sue regole, oggi più che mai.
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