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Superfood di tendenza, secondo le previsioni l’avocado diventerà il frutto tropicale più commercializzato entro dieci anni. Ma dietro la sua produzione si celano deforestazione, perdita di biodiversità, criminalità e inquinamento.
Dal Messico, paese in cui ha origine e in cui avviene la maggiore produzione, l’avocado negli ultimi decenni ha conquistato tutto il mondo, Italia compresa. Nel 2018, con l’inserimento di questo frutto esotico nel paniere Istat, si affermava il suo acquisto abituale e consolidato da parte degli italiani. Il successo globale che lo riguarda è merito della sua consistenza burrosa e del suo sapore delicato che lo rendono un ingrediente versatile in tante ricette, ma è anche il risultato della diffusione di piatti di tendenza (e molto “instagrammabili”) che lo vedono protagonista – come l’avocado toast e il poke -, oltre che delle numerose operazioni di marketing che lo hanno esaltato come superfood.
Forma ovale, buccia verde che diventa nera con la maturazione, polpa morbida di colore giallo/verde e un grosso nocciolo sferico, l’avocado è ricco di antiossidanti e di acidi grassi monoinsaturi amici del sistema cardiovascolare e, secondo alcuni studi, aiuta a tenere sotto controllo il colesterolo cattivo LDL. Ha anche proprietà energizzanti e idratanti; contiene vitamine B, C ed E e buone quantità di sali minerali, in particolare potassio, fosforo e magnesio. Ne esistono diverse varietà, ma la più diffusa è la Hass: dalla buccia nera e rugosa, è un ibrido che è stato sviluppato accidentalmente da Rudolph Hass negli anni ’30 e che è diventato il più venduto al mondo grazie alla sua resistenza al freddo, alla manipolazione, al trasporto e allo stoccaggio. Ci sono poi la varietà Fuerte, dalla buccia verde e più liscia, la Bacon, la Reed e la Pinkerton, solo per fare qualche esempio.
Il maggior produttore di avocado al mondo è il Messico che detiene circa il 40 per cento della produzione mondiale; stando ai dati del 2021, nella top ten dei produttori seguono Colombia, Perù, Indonesia, Repubblica Dominicana, Kenya, Brasile, Haiti, Vietnam e Cile. I maggiori importatori di questo frutto sono gli Stati Uniti – in media uno statunitense consuma circa 3,5 kg di avocado all’anno contro i 400 g di un italiano – che acquistano i frutti da Messico e Repubblica Dominicana, seguiti dall’Unione europea che importa soprattutto da Colombia, Perù e Cile. Usa e Ue importano, insieme, il 70 per cento della produzione mondiale di avocado.
Secondo quanto riportato dall’Oecd-Fao agricultural outlook 2023-2032, l’avocado è il frutto tropicale che ha registrato la più rapida espansione nella produzione negli ultimi decenni: questo trend continuerà anche nei prossimi anni fino ad arrivare, nel 2032, a 12 milioni di tonnellate all’anno di avocado prodotti, il triplo delle quantità prodotte rispetto al 2010. Entro il 2032 l’avocado diventerà il frutto tropicale più commercializzato superando in termini di quantità banane e ananas. Secondo alcune stime, il valore del mercato globale di questo frutto passerà dai 14 miliardi di dollari del 2021 ai 30 miliardi nel 2032.
In Messico l’avocado è chiamato oro verde per gli ingenti profitti generati dalle produzioni, ma il prezzo più alto è quello pagato dall’ambiente. Le coltivazioni intensive sono responsabili, in Messico e non solo, di una massiccia deforestazione, di un ingente sfruttamento di risorse idriche, di un forte inquinamento causato delle sostanze chimiche utilizzate nelle piantagioni. Inoltre, la filiera dell’avocado messicana è controllata dalla criminalità organizzata che estorce denaro ai piccoli produttori e impone la legge nei campi: non è raro che debbano intervenire l’esercito o soldati privati a protezione delle piantagioni.
Molti di questi aspetti sono raccontati in un recente report di Grain, organizzazione internazionale no profit a sostegno dei piccoli agricoltori e della biodiversità. Solo nello stato del Michoacán, dove si concentra il 75 per cento della produzione messicana, tra il 2000 e il 2020, la superficie coltivata ad avocado è più che raddoppiata, passando da 78mila a 170mila ettari. E, all’anno, per la produzione di avocado si utilizzano 450mila litri di insetticidi, 900mila tonnellate di fungicidi e 30mila tonnellate di fertilizzanti. Si distruggono gli ecosistemi mettendo in pericolo la sopravvivenza di diverse specie, tra tutte la farfalla monarca.
Ogni ettaro di avocado in Messico consuma 100mila litri di acqua al mese. Secondo il Water footprint network, per produrre un chilo di avocado servono circa duemila litri di acqua: la disponibilità di questa risorsa è una delle principali questioni che riguardano la sostenibilità della produzione di avocado. Ed è un caso in Cile, dove i coltivatori di avocado per irrigare le piantagioni hanno acquistato tutta l’acqua disponibile (che qui è privatizzata) ed effettuano anche prelievi illegali: intorno alle verdeggianti “oasi “di avocado, la popolazione civile è alle prese con una drammatica scarsità d’acqua da bere e da utilizzare per lavarsi e cucinare, mentre gli altri contadini e gli allevatori sono impossibilitati a lavorare. In Kenya, le piantagioni di avocado, spesso recintate con filo spinato, stanno mettendo a rischio gli elefanti e il loro habitat intralciandone il libero movimento e la ricerca di cibo e acqua.
Per Grain i coltivatori non sono quelli che controllano il processo e nemmeno la criminalità organizzata ha questo potere. Entrambi sono solo ingranaggi del sistema agroalimentare industriale e contribuiscono alla distruzione al fine di ottenere una parte del profitto (parte che nel caso dei piccoli contadini rimane irrisoria). Dunque occorre studiare la catena di approvvigionamento nel suo insieme. Quello che può fare il consumatore è acquistare e chiedere prodotti trasparenti, con certificazioni di sostenibilità e biologici nella speranza di incidere sul sistema e contribuire a cambiarlo.
In tema di sostenibilità dell’avocado, c’è poi la questione delle emissioni causate dal trasporto dai paesi produttori a quelli importatori. Secondo uno studio del Politecnico federale di Zurigo fatto su incarico del Wwf, il trasporto di un chilo di avocado cileno in Svizzera comporta 0,6 chili di CO2 via nave e 13 chili di CO2 via aereo.
Per effetto dei cambiamenti climatici e della tropicalizzazione del clima si stanno sviluppando però sempre più produzioni di avocado in Europa, con la Spagna che è il maggior produttore. Anche nel sud Italia si coltiva sempre più frutta tropicale con una superficie che ha superato i mille ettari: l’avocado cresce in Sicilia, Calabria, Puglia e Sardegna. Una filiera più corta può contribuire a ridurre l’impronta ecologica del consumo di avocado, a patto che non si replichino gli scenari di sfruttamento tropicali e che le coltivazioni vengano gestite in modo sostenibile, a partire dalle pratiche di agricoltura biologica che tutelano il suolo e la biodiversità fino a una corretta gestione dell’acqua.
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