Con un grande progetto di ripristino, Baltimora vuole riportare in salute oltre 200mila metri quadrati di zone umide lungo 18 km di costa.
Per salvare il Pianeta dobbiamo mangiare tutti meno pesce
Un’analisi dettagliata di ciò che si vede nel documentario Seaspiracy, fatta da chi il mare lo vive tutti i giorni a bordo delle navi di Sea Shepherd.
Seaspiracy è un documentario nel quale noi di Sea Shepherd siamo molto presenti perché incentrato sul mare, luogo che sorvegliamo da più di 44 anni. Tramite una lettura molto semplice e diretta sono riusciti ad affrontare una questione complessa, che tocca nell’intimità ognuno di noi. Infatti, tutti abbiamo vissuto quello che Ali ci ha fatto vivere: tutti abbiamo pensato di riuscire a fare qualcosa di buono semplicemente eliminando la plastica dalla nostra vita. Il problema è che si pensa di avere un impatto sul mondo oceanico pur non conoscendolo in realtà.
È essenziale conoscere davvero il mare per difenderlo
Uno dei temi di questo documentario è proprio il vedere il mare, vedere cosa succede nei grandi oceani del nostro pianeta. Per chi sta in mare, come noi, è una cosa ormai appresa e se ne conoscono le dimensioni distruttive.
Questo documentario è un condensato di notizie e di giustizia per tutte le vite di squali, delfini e milioni di pesci uccisi e ributtati in Mare, uccisi senza nessuna utilità. Le informazioni devono arrivare al cuore di ognuno di noi, non solo per salvare gli oceani, ma anche per salvare l’onestà delle persone che possono e vogliono cambiare le cose.
Non è solo una questione di non utilizzare la plastica o di non usare alcuni marchi commerciali. C’è la fondamentale tematica dell’ambiente marino e dell’interdipendenza che noi abbiamo nei confronti del mare.
Le critiche a Seaspiracy
Alcune persone, scienziati, biologi o divulgatori hanno criticato Seaspiracy per alcuni dati o per come vengono svolte alcune interviste. Siamo sempre stati abituati a veder criticare chi racconta la scomoda verità da chi viene mantenuto e pagato da quella scomodità, a volte senza nemmeno più accorgersi che l’intero sistema dove alcuni di loro vivono (nella convinzione di difendere l’ambiente marino) è in realtà fine a sé stesso e totalmente ininfluente rispetto alla reale vita o morte dell’oceano. Le loro azioni e pensieri sono ancora antropocentrici e non contemplano la necessità di vivere in una nuova civiltà biocentrica in un sostenibile equilibrio con le altre specie.
Dobbiamo proteggere la salvaguardia del mare oggi! Non voler ammettere di essere davanti alla sesta estinzione di massa ci avvicinerà sempre di più ad essa, e non cambiare l’abitudine non necessaria di mangiare pesce ne è l’evidenza. Dobbiamo mettere al primo posto il calo del 40 per cento negli ultimi 100 anni del fitoplancton, che sta alla base della vita del pianeta. Solo evitando il collasso della vita selvatica possiamo continuare a beneficiare dell’ossigeno che respiriamo.
Non conosciamo così bene gli oceani
È ormai risaputo che conosciamo di più la Luna che le profondità degli oceani. Ci sono dati a noi non ancora noti. Infatti, moltissime volte, organizzazioni che difendono l’ambiente hanno dichiarato che l’ossigeno prodotto dal mare è al massimo il 50 per cento. Seaspiracy riporta l’85 per cento. Chi non conosce gli oceani, non può capire come la fotosintesi acquatica contribuisca alla concentrazione di ossigeno nell’atmosfera. Questo dato non è univoco e conosciuto. Come ho detto, la Luna è a noi più nota delle profondità oceaniche.
Criticare il documentario per le percentuali riportate, invece di capire l’importanza del messaggio, pone l’accento su quale sia la priorità di ognuno.
Quindi, fissare l’attenzione nel criticare il documentario per quale sia l’esatta percentuale, invece di capire l’importanza del messaggio pone l’accento su quale sia la priorità di ognuno. Il messaggio è: sette decimi del nostro pianeta sono blu, il mare è la fonte fondamentale di ossigeno. Dobbiamo agire subito per porre fine alla distruzione del nostro stesso futuro, essendo una specie abitante il pianeta Terra.
La minaccia dei Fad
Le prime riprese di Seaspiracy sono state fatte nel West Africa, dove c’era la nostra Sam Simon, ma io non ero presente. Stavamo organizzando la prima operazione Siso nel Mediterraneo. Operazione Siso partì da una segnalazione di tartarughe marine che, nelle loro migrazioni rilevate dalla biologa marina Monica di Blasi, rimanevano mortalmente impigliate nei Fad illegali (aggregatori di pesce localmente chiamati “cannizzi”, l’acronimo vuol dire: Fishing aggregating devices). Questi strumenti sono composti da plastica e centinaia di migliaia di chilometri di polipropilene che finiscono ogni anno nel Mare Mediterraneo.
La presenza di Fad illeciti è di dimensioni inimmaginabili:
- 10mila Fad illeciti nel sud Tirreno con, stimati, 20mila chilometri di polipropilene e centinaia di migliaia bottiglie e taniche di plastica (secondo le pubblicazioni che si trovano sul Journal of Environmental Management)
- 596.518 Fad, 5.398.500 bottiglie e taniche di plastica sono stati riversati nel resto del Mediterraneo dal 1961 al 2017.
- La pesca Inn (Illegale, non dichiarata e non regolamentata) uccide molte specie arricchendo la criminalità e mettendo in ginocchio l’economia della piccola pesca artigianale.
I Fad illeciti, una volta spezzatosi il loro ancoraggio, diventano trappole mortali costituite da reti di spago galleggiante, nelle quali rimangono impigliati uccelli marini, tartarughe, cetacei e pesci ormai condannati a morte certa.
Prima di conoscere la reale provenienza di questi cinque milioni di taniche di plastica, il loro ritrovamento sulle spiagge veniva erroneamente attribuito all’inquinamento da plastica dei fiumi e delle spiagge, fuorviandone completamente i dati. Oggi invece sappiamo che dipende dalla pesca.
Come superare il senso di impotenza che si prova guardando Seaspiracy
Fare volontariato attivo in mare permette di liberarsi dal senso di impotenza che deriva dalla visione del documentario. Per questo, aprire gli occhi, anche se inizialmente solo davanti ad un monitor, e vedere i mercati del pesce (come, ad esempio, quello di Tokyo) è fondamentale per poter scegliere come comportarsi nella propria vita e vi garantisco che non è facile poterlo filmare.
Alex Cornelissen, capitano e ceo di Sea Shepherd global, andò a Taiji più di venti anni fa e fece parte del primo gruppo che tentò di liberare dalle reti i delfini intrappolati, che andavano incontro a morte certa. Per nascondere quell’atroce massacro di delfini, il Giappone, oltre a quello che si vede nel documentario, ha tentato di non rilasciare il visto di entrata ai nostri volontari che andavano lì proprio per filmare e far conoscere a tutti il prezzo che si nasconde dietro ad un delfinario.
La criminalità che si nasconde dietro il business della pesca
Questo senso del mascherare, oltre alla devastazione, è l’altro aspetto estremamente importante che Seaspiracy ha messo in luce. C’è un’assoluta, organizzata criminalità che ha l’interesse economico che tutti questi dati vengano nascosti. Quello che fanno a Taiji è nascosto perché sanno che se il mondo lo vedesse, non potrebbero più farlo, perché si tratta di azioni che hanno un impatto su tutto l’oceano, non solo sulle persone che vivono lì.
Nei mercati non vogliono nemmeno far vedere il tonno, perché sanno che non c’è solo tonno e che molto del pescato in vendita non è legale. La criminalità nei mercati del pesce imperversa e si arricchisce, ma è come se nessuno ne avesse coscienza. Ci sono alcuni gruppi criminali che riescono a controllare sia il traffico di droghe, sia quello delle armi, sia il traffico di pinne di squali.
La criminalità nei mercati del pesce imperversa e si arricchisce, ma è come se nessuno ne avesse coscienza.
La società civile si sta muovendo a fianco delle autorità per difendere il proprio futuro.
Questo collegamento con la criminalità nel documentario emerge in maniera spaventosa, perché ci si sbatte letteralmente la faccia. Non è possibile salvare l’intero oceano cercando di salvare una sola specie. Abbiamo capito dopo aver vinto la battaglia contro le baleniere illegali giapponesi che dovevamo affrontare una cosa più grande: l’Inn, la pesca illegale non regolamentata e non segnalata. Noi abbiamo iniziato un grande gemellaggio con la marina militare, le guardie costiere, i governi interi (come Liberia, Gabon e altri) e con il nostro governo italiano, la Guardia Costiera e di Finanza, con cui abbiamo stretto un rapporto di pregio a livello nazionale dal 2014.
Le gocce del mare ci insegnano che non conta la dimensione, ma l’unione.
Il golfo del Messico ci vede addirittura impegnati con la marina messicana a bordo delle nostre navi. Ci siamo uniti e abbiamo creato una rete attiva di legalità che ferma l’illegalità.
Il Mediterraneo è il mare più sovrasfruttato al mondo, è il grande mare dove si combatte la battaglia che non possiamo permetterci di perdere. Si tratta di portare giustizia al nostro futuro, al mare e anche alle persone che lavorano su questi pescherecci. Abbiamo visto persone vivere all’aperto sulle navi, sui ponti dove si scaricava il pesce. A volte è anche difficile immaginare il livello di vera schiavitù in cui sono costrette a lavorare le persone e capire che in questa civiltà possa ancora esistere una tale situazione. Per questo è importante che tutti siano consapevoli di quello che c’è realmente dietro un piatto di pesce.
L’importanza di tutelare la Liberia
La Liberia sembra un piccolo stato, che però fa parte di un golfo dell’Africa dell’ovest molto importante per la biodiversità di cui è un prezioso scrigno. Qualche anno fa, il Giappone non è più potuto andare nell’Oceano antartico a cacciare illegalmente le balene perché è stato giudicato colpevole durante un processo della corte internazionale di giustizia.
Il santuario dei cetacei, quindi, era finalmente libero dagli arpioni esplosivi e per questo il nostro capitano Peter Hammarstedt andò nella zona antartica alla caccia del più famoso peschereccio illegale al mondo, il Thunder. È iniziato così il più lungo inseguimento della storia, dopo averlo scoperto con una rete derivante lunga 72 chilometri, che è stata confiscata. Dopo 111 giorni di inseguimento in mare, il bracconiere è arrivato fino alle isole São Tomé e Príncipe, dove il peschereccio si è autoaffondato, inabissandosi. Questo aneddoto ci fa capire che sono stati proprio loro a dirci che quella era la zona meno controllata al mondo, e non casualmente, si trattava proprio di un’area frequentata da moltissimi tonni che la transitavano nelle loro rotte. Potevano andare ovunque ad affondarsi con il peschereccio, ma hanno scelto proprio quel posto, perché si sentivano sicuri, sicuri che nessuno sarebbe arrivato fino a lì. Ed è proprio lì che abbiamo capito che quella era la zona da dove iniziare una battaglia che oggi si estende in molte zone. La Liberia è un paradiso terrestre e avrebbe davvero bisogno che tutto restasse inalterato. Al momento la collaborazione con Sea Shepherd da parte del governo è continuativa e la stima è reciproca.
Moltissime nazioni hanno deciso di tutelare la propria biodiversità perché hanno capito che è lo scudo che ci difenderà in futuro, che ci permetterà di sopravvivere. Siamo parlando di sopravvivenza, di andare incontro all’estinzione intera di una specie.
Entro il 2048 gli oceani saranno vuoti.
La pesca sostenibile non esiste. Ovviamente alcune popolazioni, ad esempio, dell’Africa o dell’India non possono scegliere di non mangiare pesce e ne hanno bisogno per sopravvivenza, ma la pesca industriale e gli allevamenti intensivi in mare non sono sostenibili: dove non c’è controllo non può esistere sostenibilità. Dove non ci sono leggi non possono esistere equilibri sociali. Non si può non fermare il business dei delfinari continuando a finanziarli con i biglietti di ingresso. La schiavitù in quelli che sono se carceri per mammiferi deve diventare un brutto ricordo del passato.
Dove non c’è controllo non può esistere sostenibilità.
Una delle cose che dovrebbero passare da questo documentario è che se noi vogliamo affrontare la crisi climatica dobbiamo passare prima per l’oceano perché gli oceani governano i cambiamenti climatici.
Utilizzando le parole del nostro ceo Alex Cornelissen con cui siamo stati proprio negli uffici di Lifegate la prima volta che venne a Milano: “Smettiamo di sostenere l’industria distruttiva e insostenibile che sta distruggendo il nostro oceano o continuiamo sulla strada attuale e troviamo il nostro oceano vuoto nel corso della nostra vita? Entrambe le scelte portano allo stesso risultato: smetteremo di mangiare pesce, ora o tra 30 anni. Solo che più aspettiamo, più la situazione diventerà irreversibile. La nostra fonte “infinita” di proteine ha raggiunto il suo limite, quindi è ora di fare le scelte necessarie per ristabilire l’equilibrio nel nostro oceano.”
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