Quel mondo diverso. Enrico Giovannini e Fabrizio Barca ci esortano a batterci per un domani più giusto e sostenibile

Come orientare il nostro modello di sviluppo dopo il coronavirus? Dal dialogo tra gli economisti Enrico Giovannini e Fabrizio Barca emergono varie proposte, nel segno della sostenibilità.

Da tempo il nostro modello di sviluppo scricchiolava, mostrando in modo sempre più palese i suoi punti deboli: il clima impazzito relegato sistematicamente in secondo piano nell’agenda politica, le fratture nel tessuto sociale, il pil come unico (e fallibile) parametro per misurare il benessere, l’illusoria fiducia nella capacità del mercato di regolarsi da sé. Con la crisi innescata dal coronavirus, questo modello si è schiantato. Ancora non sappiamo dove ci porterà questa nuova fase della storia, ma ormai è chiaro che non potremo più affidarci stancamente ai vecchi modelli economici e di pensiero. È un trauma doloroso, certo. Ma anche un’opportunità irripetibile per lasciarci alle spalle ciò che non ha funzionato e costruire un domani migliore.

Quel mondo diverso. Da immaginare, per cui battersi, che si può realizzare, edito da Laterza, è un dialogo tra due economisti: Fabrizio Barca, già presidente del comitato per le Politiche territoriali dell’Ocse e ministro della Coesione territoriale per il governo Monti, ora membro dell’assemblea del Forum disuguaglianze diversità, ed Enrico Giovannini, già chief statistician dell’Ocse, presidente dell’Istat e ministro del Lavoro per il governo Letta, ora co-fondatore e portavoce dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS), la più grande rete di organizzazioni della società civile mai creta in Italia per diffondere la conoscenza dell’Agenda 2030 e la cultura dello sviluppo sostenibile. Ve l’abbiamo consigliato tra le letture da scoprire o regalare per Natale, e ora ne approfondiamo i contenuti insieme a Enrico Giovannini.

20 libri da regalare a Natale: Quel mondo diverso – Fabrizio Barca ed Enrico Giovannini
Quel mondo diverso – Fabrizio Barca ed Enrico Giovannini

Intervista a Enrico Giovannini

La risposta alla crisi del 2008 fu incentrata sull’austerity. Di fronte al coronavirus invece è stata adottata una linea opposta, fatta di investimenti e politiche espansive. È questa la strada giusta?
È la strada indispensabile per due ragioni. Prima di tutto perché, come anche gli economisti più neoliberisti riconoscono, in un momento di depressione e crisi la spesa pubblica deve aumentare per investimenti piuttosto che per spesa corrente.

Poi c’è un’altra considerazione da fare. Siamo nel mezzo di una trasformazione in senso ecologico di tanti processi produttivi e di organizzazione della nostra vita: l’economia circolare, la mobilità elettrica, il passaggio alle energie rinnovabili. Questa transizione può essere benefica dal punto di vista sia ambientale sia economico perché, una volta a regime, riduce i costi; e dev’essere compiuta insieme alla trasformazione digitale. È il momento di accelerare sulle trasformazioni, anche perché possono produrre nuovi posti di lavoro che, nella situazione attuale, sono fondamentali anche per la sostenibilità sociale, oltre che per quella economica e ambientale.

Anche la finanza sta sterzando rapidamente in questa direzione. Questa è un’opportunità di orientare l’enorme liquidità creata con la politica monetaria espansiva di questi ultimi anni. Titoli come i social bond e i green bond stanno incontrando l’interesse dei risparmiatori che, nonostante la crisi, hanno ancora tantissime risorse a disposizione.

REmini2020 – Enrico Giovannini, fondatore Asvis

Sapevate che le persone sono molto più attente alle tematiche di sviluppo sostenibile rispetto ai media (tranne noi 😀) e alla politica? Ne è convinto Enrico Giovannini, fondatore e portavoce di ASviS – Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile. life.gt/giovannini-asvis#REmini2020 – #FuturoCircolare – #Meeting18 – #Conai

Posted by LifeGate on Thursday, August 23, 2018

Diverse analisi sottolineano il fatto che, nei pacchetti di stimolo all’economia per uscire dalla crisi del coronavirus, la transizione verde abbia un peso marginale. Una delle poche eccezioni è l’Unione europea. Quali sono le opportunità che non possiamo farci sfuggire?

Non è sorprendente che la classe dirigente di tanti paesi, formata nel neoliberismo degli ultimi quarant’anni, abbia difficoltà a ragionare in termini nuovi. La risposta che si osserva in molti paesi, quindi, è una risposta vecchia.

L’Europa da questo punto di vista è un’eccezione straordinaria. Il fatto che la nuova Commissione abbia messo al centro lo sviluppo sostenibile ha fatto sì che, quando la crisi è scoppiata, si sia andati quasi in automatico nella direzione che già era stata identificata come il futuro. La scelta della decarbonizzazione al 2050 e l’aumento dell’ambizione sul taglio delle emissioni al 2030 hanno fatto sì che, ormai, anche nelle imprese e nell’amministrazione pubblica i piani di ripresa e resilienza siano tutti orientati in questa direzione.

Tutto questo ha stimolato anche la competizione internazionale. La Cina ha annunciato l’intenzione di decarbonizzare entro il 2060, altri paesi hanno fatto altrettanto con scadenze diverse. Il che dimostra che l’Unione europea sta facendo scuola.

Nel libro lei fa tante proposte per un nuovo sistema economico, sociale e politico: dal superamento del pil alla tassazione per i colossi del web. Ne può citare una che sta arrivando a compimento e, viceversa, una che le sembra sia stata tralasciata?
Nel mio libro del 2018 Utopia sostenibile e nel rapporto del 2019 Uguaglianza sostenibile, scritto con Fabrizio Barca e altri esperti europei, c’è una serie di proposte che stanno diventando il mainstream europeo. Tra cui, ad esempio, quella di orientare il cosiddetto semestre europeo verso l’Agenda 2030, o l’importanza della resilienza come orientamento delle politiche, come “bussola” delle politiche europee, come si legge nel recente rapporto della Commissione. Insomma, si stanno realizzando alcune cose che solo tre anni fa sembravano, appunto, un’utopia assoluta.

C’è ancora poca consapevolezza, invece, di quanto l’investimento in capitale umano faccia la differenza non solo per offrire posti di lavoro, ma anche per sfruttare le nuove opportunità offerte dalla digitalizzazione e dall’economia circolare. Nei nostri sistemi contabili continuiamo a considerare l’acquisto di un computer come un investimento e la formazione di una persona come un costo che riduce i profitti dell’impresa. Questo dà un’idea di quanto il nostro sistema contabile sia vecchio, coerente con una visione novecentesca dell’economia e della società. Su questo fronte ci sono dei passi avanti, come l’obbligo di rendicontazione non finanziaria  delle imprese, ma non è ancora percepita fino in fondo la necessità di un cambiamento profondo nel modo in cui misuriamo il benessere complessivo.

Nel suo libro lei non parla solo di economia ma del nostro sistema di vita a tutto tondo. Ed è evidente che la Covid-19 abbia fatto emergere tanta situazioni di fragilità e solitudine. Al di là delle misure assistenziali che sono indispensabili quando si è nel bel mezzo dell’emergenza, come possiamo superarle in modo duraturo?
La nostra vita dipende da tanti fattori. Naturalmente ci sono dei fattori economici, perché le persone che hanno perso il lavoro vedono il loro progetto di vita andare in frantumi. Ma poi esistono tanti altri elementi. Pensiamo al lavoro gratuito dei volontari che hanno portato beni alimentari a chi era chiuso in casa durante il lockdown, o al lavoro di cura di madri e padri nei confronti dei figli, penalizzati dalla mancanza di attività scolastica.

Quello che però questa crisi sta rendendo drammatico è l’aumento delle disuguaglianze tra uomini e donne, giovani e anziani, ricchi e poveri. Quando ne usciremo, avremo fatto gravi passi indietro da questo punto di vista. Ciò significa che avremo bisogno di ricostituire le diverse forme di capitale umano, economico e sociale, perché, se anche tornassimo al pil pre-crisi ma senza lo stesso capitale umano (che già era insufficiente sul piano quantitativo e qualitativo), ci ritroveremmo comunque più poveri, deboli ed esposti al prossimo shock.

Non è ancora stata pienamente recepita questa necessità di non guardare solo ai flussi (di reddito, pil ecc.) ma anche agli stock, che sono già che rende un paese resiliente di fronte alle crisi. Non è un caso se si parla di “piano di ripresa e resilienza” ed è per questo che una parte dei fondi europei va investita nella lotta alle disuguaglianze e nel capitale umano: sono le persone che rendono una società e una economia resilienti alle crisi, non le macchine.

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