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La produzione di soia è tra le cause principali di deforestazione nei paesi tropicali e la maggior parte è destinata agli allevamenti intensivi.
Poiché è il più ricco di proteine tra i legumi (37 g su 100 g di prodotto), la soia è un alimento privilegiato nella dieta di vegetariani e vegani, ma anche – e soprattutto – in quella degli animali negli allevamenti intensivi. Oltre al consumo come legume, da essa si ricavano farine (utilizzate ampiamente nei mangimi degli animali), olio e latte vegetale; la soia, poi, è a base di molti prodotti vegetali come tofu, tempeh, miso. Da questo legume si ottiene anche la lecitina, un additivo utilizzato nell’industria alimentare come emulsionante con la sigla E322; con la soia, infine, si possono produrre biocarburanti.
Negli ultimi decenni la soia è diventata anche il legume più controverso perché la sua coltivazione intensiva ha un impatto ambientale negativo, in primis per quanto riguarda la deforestazione nelle aree tropicali che ha tra le varie conseguenze l’aumento del riscaldamento globale e la perdita di ecosistemi e biodiversità.
Coltivata fin dall’antichità in Cina, la soia si è diffusa all’inizio del XX secolo anche in altre aree geografiche fino a rappresentare attualmente una delle più grandi coltivazioni a livello globale. Nel 1996 è stata prodotta negli Stati Uniti una soia geneticamente modificata per resistere agli erbicidi (glifosato soprattutto) e secondo i dati Isaaa realtivi al 2019, la soia è l’ogm più coltivato al mondo: per numero di ettari coltivati rappresenta il 48 per cento della superficie globale coltivata a ogm.
Per quanto riguarda la trasparenza, sebbene la soia ogm e i mangimi ogm devono essere etichettati come tali, non c’è obbligo, invece, di indicare nell’etichetta della carne se l’animale è stato nutrito con mangimi ogm. Rappresenta un’eccezione la carne biologica perché nel settore bio i mangimi utilizzati sono biologici e non possono contenere ogm.
Un altro problema riguardante la soia ogm è l’uso massiccio di pesticidi necessari alla sua coltivazione: uno studio recente, ha evidenziato un legame tra l’espansione delle coltivazioni di soia in Brasile (e quindi l’incremento dell’uso di pesticidi) con l’aumento della mortalità per cancro infantile.
Il raccolto di soia del Brasile, primo produttore mondiale, si aggira intorno a 150 milioni di tonnellate annue prodotte su 44 milioni di ettari. Insieme a Stati Uniti e Argentina, il Brasile produce l’80 per cento della soia coltivata nel mondo, mentre i maggiori importatori sono la Cina (importa il 60 per cento di tutta la produzione globale) e l’Unione europea.
Secondo una stima della Fao, tra il 1990 e il 2020, 420 milioni di ettari di foreste – un’area più grande dell’Unione europea – sarebbero stati convertiti in terreni per uso agricolo con olio di palma e soia responsabili per oltre due terzi della deforestazione.
Come riporta il Wwf, nel mondo, tra il 2001 e il 2015, le coltivazioni di soia hanno sostituito 8,2 milioni di ettari di foresta. Il 97 per cento di questa deforestazione si è verificata in Sud America dove la produzione del legume è quasi triplicata negli ultimi decenni e si prevede raddoppierà ulteriormente entro il 2050: in particolare il 61 per cento di deforestazione si è registrata in Brasile (Amazzonia e Cerrado), il 21 per cento in Argentina, il 9 per cento in Bolivia e il 5 per cento in Paraguay.
Nel 2006 è stata stipulata in Brasile la Amazon soy moratorium, un impegno formale dei rivenditori a non acquistare soia proveniente da aree di nuova coltivazione. Secondo uno studio, la moratoria avrebbe evitato, tra il 2006 e il 2016, la distruzione di oltre 18mila kmq di foresta, ma un’altra inchiesta ha rivelato che alcuni coltivatori riescono, invece, ad aggirare la moratoria e che tra il 2009 e il 2019, nel solo stato brasiliano del Mato Grosso, sono stati distrutti 1.180 chilometri quadrati di foresta amazzonica per fare spazio a coltivazioni illegali.
Quello che è molto importante sottolineare è che di tutta la soia prodotta, solo una minima parte è destinata al consumo umano. Sempre il Wwf rivela che il 75 per cento del raccolto globale del legume viene in realtà utilizzato per la produzione di farine per i mangimi degli animali negli allevamenti intensivi che soddisfano la domanda mondiale di carne, uova e latticini. Secondo uno studio dell’associazione ambientalista, ogni cittadino europeo consuma 60,6 kg di soia l’anno, di cui oltre il 90 per cento (cioè 55 kg) è nascosto in carne, pesce e derivati animali. Il consumo diretto di questo legume nella nostra alimentazione ammonta invece a soli 3,5 chili l’anno a persona.
In alcuni casi, come per il pollo e il salmone, la quantità di soia utilizzata come mangime è quasi pari a quella del cibo finale prodotto: sono infatti necessari 95 grammi di soia per produrre 100 grammi di salmone d’allevamento, ne servono 96 grammi per 100 grammi di petto di pollo e 41,5 grammi per 100 grammi di carne di maiale.
Il 19 aprile 2023 il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva una legge per contrastare la deforestazione che prevede che le aziende possono vendere nell’Ue solo i prodotti il cui fornitore abbia rilasciato una dichiarazione che attesti che il prodotto non proviene da terreni deforestati e non ha contribuito al degrado di foreste. Le imprese devono anche verificare che tali prodotti siano conformi alla legislazione pertinente del paese di produzione, anche in materia di diritti umani, e che i diritti delle popolazioni indigene interessate siano stati rispettati. Tra i prodotti interessati dalla nuova normativa vi sono la soia, ma anche capi di bestiame, cacao, caffè, olio di palma e legno, compresi i prodotti che contengono, sono stati alimentati con o sono stati prodotti utilizzando questi prodotti (ad esempio cuoio, cioccolato e mobili). Inclusi anche gomma, carbone, prodotti di carta stampata e una serie di derivati dell’olio di palma.
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