Covid-19

L’essere umano torna ad abitare il Pianeta. Un podcast per capire la ripartenza italiana

Le crisi, grandi o piccole che siano, sono uno spartiacque e portano a un cambiamento radicale della normalità, segnando un prima e un dopo.

Ascolta “L’essere umano torna ad abitare il pianeta. Viaggio per capire la ripartenza italiana” su Spreaker.
Le crisi, grandi o piccole che siano, sono uno spartiacque e portano a un cambiamento radicale della normalità, segnando un prima e un dopo. È successo con il disastro nucleare di Chernobyl, con gli attacchi terroristici del’11 settembre, con la crisi finanziaria del 2008. Allo stesso modo, c’è stata una vita pre-pandemia da coronavirus e ci sarà un dopo. Il momento che stiamo vivendo verrà ricordato come una delle più gravi crisi sanitarie, economiche, sociali e ambientali del Ventunesimo secolo e cambierà le nostre vite per molto tempo.

Ascolta il podcast integrale sulla fase 2

Per capire come tutto questo avverrà, abbiamo parlato con esponenti del mondo scientifico e imprenditoriale, con istituti e organizzazioni che ci hanno dato un’idea di cosa ci dobbiamo aspettare, come cittadini italiani e come abitanti di questo Pianeta. E abbiamo realizzato la seconda parte di un podcast dedicato all’emergenza che stiamo vivendo. La prima potete ascoltarla qui.

Un racconto di come il coronavirus abbia inaugurato il decennio più importante della lotta contro la crisi climatica, una sorta di ribellione della natura contro l’insostenibilità del nostro stile di vita con gli interventi di Isabella Pratesi, direttrice del programma di conservazione di Wwf Italia, Luca Lucentini, direttore del reparto di Qualità dell’acqua e salute del dipartimento di Ambiente e salute dell’Istituto superiore di sanità, Matteo Villa, ricercatore dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale e Marco Barbieri, segretario generale di Confcommercio a Milano.
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Un podcast per capire la ripartenza italiana dopo il coronavirus © Sharewood

Se non ci prendiamo cura del pianeta ci saranno nuove pandemie

Lo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali perpetuato negli ultimi decenni ha avuto effetti devastanti sul pianeta. Il coronavirus ha aperto il decennio più importante contro la crisi climatica ed è stato una vera ribellione della natura contro l’insostenibilità del nostro stile di vita. Gli allevamenti intensivi, il disboscamento, l’inquinamento delle acque e dell’atmosfera hanno via via compromesso gli habitat dove convivevano in equilibrio animali, piante e virus che, non bisogna dimenticarlo, sono parte integrante degli ecosistemi.

E come gli orsi polari si spingono sempre più vicini agli insediamenti umani a causa dello scioglimento di ghiacci, il loro habitat naturale, così anche i virus si sono ritrovati senza una casa e hanno dovuto cercare un nuovo posto dove sopravvivere, trovandolo questa volta nelle città. A quel punto nulla li ha più separati dall’essere umano.

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“Sappiamo che distruggendo gli habitat scateniamo la diffusione dei virus – ci ha raccontato Isabella Pratesi, curatrice del report del Wwf Pandemie, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi –. Perciò ce ne potranno essere altre ancora. Abbiamo inquinato le acque, distrutto le foreste tropicali, come possiamo pensare che in questo cataclisma, le malattie, i virus, i batteri resistenti agli antibiotici non possano mettere a rischio la nostra salute. Qualunque popolazione animale in un ecosistema malato si ammala”. Proprio come ha detto papa Francesco.

Non ci siamo fermati davanti a guerre e ingiustizie. Non abbiamo ascoltato il grido dei poveri e del pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato.papa Francesco
Indigeni Waorani e coronavirus
Sappiamo che distruggendo gli habitat scateniamo la diffusione dei virus © Margherita Scazza

È la prima volta che una crisi ambientale paralizza in questo modo l’economia

“È successa quella che è stata definita più volte la tempesta perfetta – ha spiegato Luca Lucentini –. Si sono verificati insieme molti fattori e questo ha determinato delle dimensioni difficilmente immaginabili. Parliamo di una pandemia che non ha pari in tutto il secolo, in tutto il continente”.

L’Italia ha scoperto il coronavirus sulla propria pelle il 21 febbraio, quando Mattia un ragazzo di 38 anni di Codogno, un comune della Lombardia, è stato identificato come il primo paziente italiano a risultare positivo al virus Sars-Cov-2, responsabile della Covid-19, una malattia con sintomi simili a quelli di una normale influenza. Da quel giorno le vite degli italiani sono cambiate drasticamente, scandite dal ritmo dei bollettini della Protezione Civile che ogni sera, per settimane, ci hanno aggiornato sui numeri, sulla situazione drammatica che stava affrontando l’Italia.

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L’11 marzo è stata dichiarato lo stato di pandemia e l’Italia si è definitivamente fermata, stretta in una morsa che ha paralizzato il suo tessuto produttivo. Il lockdown, unito al distanziamento sociale e quindi all’impossibilità di avere contatti con altre persone, è stato necessario per rallentare la diffusione del virus e ha contribuito ad abbassare la curva dei contagi. Tuttavia, ha avuto risvolti drammatici per le imprese che sono state costrette a fermare le proprie attività. Come ci ha spiegato Matteo Villa, è stato un “jolly, una carta da usare solamente in caso di emergenza che non è però sostenibile nel lungo periodo”. Cioè che succederà ora dipenderà solo dalla responsabilità delle persone.

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Il lockdown una carta da usare solamente in caso di emergenza che non è però sostenibile nel lungo periodo © Marco di Lauro/Getty Images

Nel post pandemia, salute, economia e ambiente devono lavorare in sinergia

Per evitare di ripetere gli errori commessi in passato, aziende e privati devono trovare un nuovo equilibrio, una nuova impostazione legata alla resilienza trasformativa che, come emerso dalle valutazioni della task force governativa di Vittorio Colao, trasformi il modo di funzionare delle nostre società ed economie, tenendo ben presente che fallire nella protezione dell’ambiente che ci circonda potrebbe dar vita a nuove pandemie.

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Marco Barbieri, sottolinea come le aziende abbiano “riscoperto delle pratiche che permetteranno loro di adeguarsi e di essere più resistenti agli shock”, pratiche che potrebbero anche avere risvolti positivi sull’inquinamento delle città. “Nuova normalità per le imprese vuol dire un nuovo modo di organizzarsi – ci ha raccontato –. Le imprese hanno scoperto ancora di più cos’è il digitale, cos’è il commercio online, le consegne a domicilio e l’asporto. Le imprese dalla pandemia hanno tratto un nuovo modello organizzativo che permette loro di adeguarsi con più agilità ai nuovi cambiamenti del mercato”.

Questo nuovo modello organizzativo vede sempre più aziende nel mondo adottare lo smartworking, il lavoro agile, e prenderlo in considerazione come modalità da mantenere anche una volta finita l’emergenza. Altre pensano di rilocalizzare le proprie industrie e riportarle sul territorio italiano, decisione che, secondo Villa, potrebbe tramutarsi in una fase di deglobalizzazione in cui le catene globali del lavoro e delle produzioni che sono state iper-spezzettate negli ultimi trent’anni, tenderanno a diventare più corte.

Un negozio in Italia chiude durante la pandemia di coronavirus
Potremmo andare incontro ad una fase di deglobalizzazione © Marco Di Lauro/Getty Images

Una nuova normalità in nome della salute del Pianeta e della nostra

Trovare un nuovo equilibrio, una nuova normalità, non significa smettere di usare le risorse offerte dal Pianeta, ma farlo in modo più consapevole e senza la presunzione che la crisi climatica non possa toccarci in alcun modo. Secondo Isabella Pratesi, “dobbiamo ripensare al modo in cui usiamo le risorse naturali. Non possiamo non usarle, ma dobbiamo farlo in modo intelligente, proteggendo il capitale naturale, ovvero quel capitale di natura che produce queste risorse. Se distruggiamo questo capitale ci troveremo letteralmente in bancarotta, quindi con niente in mano per mantenere la nostra esistenza. Io dico sempre che l’Amazzonia la stiamo distruggendo per il nostro sistema food perché l’agribusiness sta distruggendo e sostituendo le nostre foreste tropicali con coltivazioni, allevamenti intensivi. Ma quando non ci saranno più le foreste chi produrrà l’acqua per alimentare queste imprese? Si troveranno una distesa di arida savana e l’agricoltura in fallimento. Se noi proteggiamo i meccanismi che regolano le piogge, stabilizzano il clima e rendono il terreno fertile abbiamo la possibilità di avere un’agricoltura che ci sostenga anche in futuro”.

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Il coronavirus è stata la prima crisi di questa portata di natura ambientale © Ulet Ifansasti/Getty Images

Il ruolo fondamentale che gioca la protezione dell’ambiente nella fase due è stato ribadito anche dal premier Giuseppe Conte che ha nominato la presidentessa del Wwf Donatella Bianchi come membro della task force che si sta occupando di gestire l’emergenza. Un grande riconoscimento che Pratesi si augura possa servire a portare sui tavoli di lavoro visioni e strumenti che servono per costruire un futuro più solido, resiliente e sostenibile.

Il coronavirus è stata la prima crisi di questa portata di natura ambientale, ma è stata solo una “crisi di passaggio” perché la causa scatenante ovvero la crisi climatica, incombe ancora. Se l’uomo vuole tornare in natura deve farlo delicatamente, quasi in punta di piedi, facendo attenzione al suo impatto e senza essere di disturbo alle altre specie, animali e vegetali. Perché nuove pandemie sono sempre possibili in un mondo malato e il coronavirus è solamente un campanello dall’allarme di cosa ci attende se non cambiamo.

Foto in apertura: Francesco Prandoni/Getty Images

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